Per chi abbia intrapreso un percorso di studio e sviluppo personale che includa la pratica della meditazione, un suggerimento più o meno diretto del tipo “cerca di lasciare andare… rilassati, lascia correre” sarà prima o poi probabilmente arrivato.
Lasciare andare implica un’attitudine di grande quiete e di calma mentale, ma soprattutto richiede una buona identificazione con quello che si sta facendo. Il praticante decide di immergersi nella sua pratica meditativa, per il piacere di farlo, senza uno scopo (o così almeno sarebbe utile che fosse). Sà infatti che il tempo che dedicherà alla pratica contribuirà a riequilibrare il suo “chi” (stabilizzando la sua energia vitale) e a stimolare un corretto flusso energetico negli organi e nel sistema circolatorio e linfatico. Otterrà insomma un riequilibro generale di mente e corpo senza la necessità di un vero e proprio intento da parte sua. In sostanza non cercherà di raggiungere qualcosa ma potrà – nel caso – vederlo e sentirlo accadere dentro di sè.
I taoisti sanno anche che in una condizione “utile” come questa, sarà per loro possibile dedicarsi anche a pratiche più specifiche con specifici intenti.
Il desiderio di “lasciare andare” implica che si stia appunto cercando di lasciare scorrere i pensieri, disperdere la tensione fisica ed emotiva per raggiungere uno stato di maggiore tranquillità e leggerezza (fisica, mentale ed emotiva).
In questo contesto si crea spesso un fraintendimento. Si è infatti portati a credere che questo “lasciare andare” sia un traguardo che la meditazione renderà meno difficile da raggiungere. In parte è così, nel senso che una corretta pratica meditativa può semplificarne il raggiungimento, ma è in realtà molto più vero che senza quest’attitudine a “lasciare andare” la pratica meditativa sarà molto difficile.
Sorge quindi spontaneo chiedersi come possiamo raggiungere questo stato di maggiore quiete con la meditazione se – condizione stessa per una buona meditazione – è proprio l’aver già raggiunto questo stato di quiete.
Molti insegnanti si trovano spesso nella situazione in cui – prima o poi – suggeriscono allo studente di non preoccuparsi, di lasciare andare. Lo fanno con i migliori propositi probabilmente, ma raramente vedono lo studente riuscire in questo intento. Infatti, in molti casi, semplicemente non può.
Quando infatti il praticante non ha abbastanza esperienza, o peggio è male assistito e spinto a svolgere pratiche bizzarre di cui si è letto in qualche libro, le cose si complicano notevolmente. Il raggiungimento di quello stato “ottimale” utile a lasciare andare e permettere alla pratica di essere efficace e rispettosa dei nostri tempi e delle nostre necessità, semplicemente non è più possibile.
L’impedimento maggiore è dato proprio dalle tecniche che il praticante si prefigge di apprendere e/o seguire. Vi sono numerose tecniche di meditazione, e anche nell’universo taoista sembra che sia così se ci lasciamo influenzare dai tanti libri in circolazione. In realtà, invece, ci accorgeremo che vi è una sola e unica semplice tecnica di meditazione. Se praticata con disciplina e in modo corretto, permetterà in seguito di addentrarsi – se lo si desidererà – in maggiore profondità. Purtroppo invece, è comune il fraintendimento per il quale quello che si legge sui libri sia un elenco di tecniche da svolgere in un certo modo. Invece si tratta sempre di resoconti di praticanti che – coincidendo spesso in modo significativo – portano il lettore moderno a pensare di trovarsi di fronte a un manuale o prontuario per raggiungere una qualche illuminazione!
Lo studente o il praticante, quindi, rischiano spesso di pasticciare la loro pratica aggiungendo tecniche su tecniche e stress su stress, nel tentativo di raggiungere fantomatici traguardi e creando invece una maggiore tensione di quella che forse si prefiggevano di eliminare con la meditazione. Si rischia quindi che la meditazione diventi l’ennesimo impegno della giornata, qualcosa in cui riusciamo a identificarci molto poco, o per nulla. Proprio perchè a monte rimane questa tensione che non siamo riusciti a stemperare. Lasciare andare, quindi, diventa non solo difficile ma spesso impossibile. E il danno di pasticciare con l’energia in un contesto meditativo, può essere notevole quando contribuisce a creare ulteriori tensioni psichiche ed emotive. La nostra pratica meditativa, quindi, diventa qualcosa che ottiene l’effetto contrario di quello cui forse aspiriamo.
Allora come possiamo imparare a lasciare andare e fare si che questa attitudine divenga un supporto alla nostra pratica meditativa?
Ritagliamoci un po’ di tempo ogni giorno (e solo se ci fa piacere farlo) oppure quando ne sentiamo il bisogno (senza quindi imporci una disciplina forzata) per praticare l’ascolto e l’osservazione con le tecniche di meditazione tradizionale che dobbiamo aver precedentemente appreso. Troviamo quindi un buon insegnante che ci guidi in questa direzione e cerchiamo di scoprire se è quello che fa per noi. Potrebbe essere così, ma potrebbe anche non esserlo.
Se non ci identifichiamo con quello che facciamo, come in tutte le cose della vita, il risultato sarà un fallimento o una strada in salita piena di inutili ostacoli.